Italia - Veneto: la Cappella degli Scrovegni a Padova


LA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI


LA FAMIGLIA DEGLI SCROVEGNI

Nella seconda metà del Duecento Padova aveva conosciuto un notevole rilancio politico, diplomatico e militare, divenendo un comune guelfo di notevole importanza, tanto da estendere il proprio dominio sui vicini centri di Vicenza, Bassano, Badia Polesine, Lendinara e Rovigo. Con i suoi 30-35 mila abitanti la città era tra le prime 15 della penisola italiana.
Alla fine del secolo era il fulcro di un vasto schieramento di forze guelfe dell'Italia nord-orientale e per questo era considerata il naturale presidio contro le minacce di espansionismo che venivano da signori come gli Scaligeri di Verona o i Visconti di Milano; era considerata anche il simbolo stesso della fedeltà al papa.
Anche culturalmente Padova primeggiava, grazie alla sua università, una delle più rinomate in Europa.

Padova, il Palazzo della Ragione

Il flusso di denaro era imponente, con enormi opportunità di arricchimento per molti, anche per borghesi del popolo minuto, che tallonavano da vicino sia i casati nobiliari più antichi, sia la borghesia “grassa” che era cresciuta grazie al commercio, agli uffici, alle professioni e al traffico del denaro (compreso il prestito a usura, che era comune all'epoca).
Facevano parte di quest'ultimo gruppo sociale gli Scrovegni.

Lo stemma degli Scrovegni, una scrofa azzurra in campo bianco

Il capo della casata fu tra il 1260 e il 1290 Rinaldo (o Reginaldo), che aveva esercitato con enorme profitto l'attività feneratizia (cioè di usuraio – [non a caso Dante metterà «un che d'una scrofa azzurra e grassa / segnato avea lo suo sacchetto bianco» (ossia uno che aveva l'insegna con una scrofa azzurra in campo bianco, cioè uno degli Scrovegni – e probabilmente si tratta proprio di Rinaldo, se non addirittura di suo figlio Arrigo, o Enrico) nel VII cerchio dell'Inferno, vale a dire quello degli usurai]), investendo il proprio capitale in ogni genere di affari, senza tanti scrupoli (divenne proverbiale la sua avarizia) e accaparrandosi un'invidiabile base immobiliare in città e in campagna. Inoltre aveva stretti legami con l'ambiente ecclesiastico, costruì la propria affermazione sociale mediante accorte alleanze matrimoniali e, pur non essendo culturalmente molto dotato, mise mano anche alla politica attiva.
In questo modo da una parte si attirò il disprezzo del popolo padovano, che gli mise Il capo della casata fu tra il 1260 e il 1290 Rinaldo (o Reginaldo), che aveva esercitato con enorme profitto l'attività feneratizia (cioè di usuraio – [non a caso Dante metterà «un che d'una scrofa azzurra e grassa / segnato avea lo suo sacchetto bianco» (ossia uno che aveva l'insegna con una scrofa azzurra in campo bianco, cioè uno degli Scrovegni – e probabilmente si tratta proprio di Rinaldo, se non addirittura di suo figlio Arrigo, o Enrico) nel VII cerchio dell'Inferno, vale a dire quello degli usurai]), investendo il proprio capitale in ogni genere di affari, senza tanti scrupoli (divenne proverbiale la sua avarizia) e accaparrandosi un'invidiabile base immobiliare in città e in campagna. Inoltre aveva stretti legami con l'ambiente ecclesiastico, costruì la propria affermazione sociale mediante accorte alleanze matrimoniali e, pur non essendo culturalmente molto dotato, mise mano anche alla politica attiva.
In questo modo da una parte si attirò il disprezzo del popolo padovano, che gli mise l'epiteto di «sesso di scrofa» e lo descriveva come suonatore di serenate che amava associarsi con il fior fiore della gioventù nobile di Padova; dall'altra la favolosa fortuna che aveva accumulato aveva fatto sì che, ancor prima della sua morte, le cronache cittadine lo definissero «nobiluomo, sapente e discreto».
Di sicuro il suo giro d'affari si era allargato a dismisura, anche al di fuori di Padova: a Venezia (dove teneva una nave adibita al commercio di lana, cotone e formaggio), a Mantova, a Cremona, a Firenze, presso la Curia romana, addirittura in Germania.
Un cronista dell'epoca riferisce che gli Scrovegni erano al quinto posto delle famiglie più potenti di Padova; di sicuro erano al primo posto per ricchezza.
E quando Enrico subentrò al padre alla guida del casato, era ben consapevole della sua fortuna economica, ma anche del fastidio (se non del disprezzo) che gran parte della società cittadina prova per la sua famiglia, per l'accusa non tanto occulta di strozzinaggio. Per questo Enrico cominciò a far di tutto per dissipare pregiudizi e maldicenze sul suo conto, con una serie di atti pubblici che dovevano manifestare di essere divenuto un «nobile ed egregio cavaliere».

Monumento a Enrico Scrovegn


Così si affiliò alla congregazione religioso-cavalleresca della milizia della Beata Gloriosa Vergine Maria, detta anche dei frati Gaudenti. Così fece costruire un monastero cistercense fuori città. Così soprattutto, il 6 febbraio 1300, acquistò l'Arena di Padova (o anfiteatro), un vasto quartiere recintato nel centro della città, dotato di un palazzo e di altri edifici accessori, bagni caldi, stalle per cavalli, due torrioni eretti sulle porte d'ingresso; un luogo dal forte valore simbolico, dato che era stato in passato appannaggio dei vescovi per concessione dell'imperatore quando erano signori della città.
Enrico rimodellò la zona e le sue case e fece costruire una chiesa «per la salvezza dei suoi e soprattutto per l'anima del padre suo Rinaldo». Inutilmente i frati della vicina chiesa degli Eremitani protestarono, dicendo che Enrico aveva fatto erigere quella chiesa non per gloria e onore di Dio, bensì «per pompa e vanagloria e guadagno».
Per completare l'opera, non rimaneva che abbellire la nuova chiesa con l'opera di un pittore di grido, anzi il migliore in assoluto, qualunque fosse la spesa da sostenere. Ma a Enrico non mancava certo il denaro per chiamare a lavorare per lui questo pittore: Giotto.

Il 31 marzo 1303 la nuova chiesa è terminata (più piccola di quella che si vede nel modellino affrescato nel Giudizio Universale, forse per le proteste degli eremitani); da quel momento comincia la decorazione ad affresco di Giotto, durata sino alla fine del 1304 e comunque non oltre il 9 gennaio 1305 (giorno in cui gli eremitani presentano una protesta ufficiale contro il rumore eccessivo delle campane e la troppa “pompa” della nuova chiesa). Grazie anche ai soldi di un usuraio, nasce così uno dei capolavori mondiali della storia dell'arte. Con esso Enrico Scrovegni ha un duplice obiettivo, politico e artistico: il secondo riuscito (dato che la chiesa fa un notevole scalpore in terra padovana), il primo no, visto che nel 1320 egli viene esiliato e nel 1336 muore.


La Cappella degli Scrovegni

Monumento funebre a Enrico Scrovegni nella Cappella padovana

IL CICLO DEGLI AFFRESCHI

La Cappella degli Scrovegni è un parallelepipedo rettangolo, costituito da 2 pareti, da una facciata (dove c'è l'abside) e da una controfacciata. Nelle 2 pareti e nella facciata si svolge il ciclo di affreschi dipinti da Giotto, in cui vengono narrate
- le storie di Gioacchino e Anna
- le storie di Maria
- le storie di Cristo
Queste 3 storie sono narrate in riquadri che si succedono in 3 fasce secondo un ordine ben preciso, dall’alto in basso e da una parete all’altra; il tutto si conclude nella controfacciata, dove è rappresentato il Giudizio Universale.


Tra un riquadro e l'altro ci sono delle fasce ornamentali con decorazioni geometriche, busti di santi e piccoli episodi.
Lo zoccolo delle due pareti contiene, infine, le raffigurazioni contrapposte dei Vizi e delle Virtù, alternate a finti riquadri marmorei.

Secondo le intenzioni di Giotto, il visitatore che entra nella Cappella compie un percorso che, attraverso le storie raccontate, dovrebbe fargli riflettere sul cammino dell'uomo, costantemente combattuto nell'alternativa tra bene e male. La meta finale di questo itinerario è il Giudizio Universale, nel quale è evidente la distinzione tra l'armonia dei beati e la disperazione dei dannati. Per contrasto, alzando gli occhi, lo sguardo si perde nel cielo della volta, nella quale 10 tondi ospitano i busti di Cristo, della Madonna e dei profeti , tra cui san Giovanni Battista. Attorno a loro più di 700 stelle.

Una parte della volta della Cappella

Un’altra parte della volta

Il clipeo con il busto di Cristo (o Redentore)

STORIE DI GIOACCHINO E ANNA

Per le sei storie di Gioacchino e Anna Giotto si è ispirato a vari testi apocrifi, confluiti, interamente o in parte, nella Leggenda aurea di Jacopo da Varazze della metà del Duecento.

Affresco 1:

Cacciata di Gioacchino dal tempio

Gioacchino, giunto in tarda età senza prole, viene allontanato dal tempio di Gerusalemme dallo scriba Ruben, perché non era consentito accedervi a chi non avesse procreato.
La scena si svolge nel Tempio di Gerusalemme, presso il pulpito per la presentazione della legge o Bimah, dove uno scriba impartisce benedizioni. Il tabernacolo con colonne tortili rappresenta il Sancta Sanctorum, il luogo più segreto del santuario dove era custodita l'arca dell'Alleanza. Lo scriba Ruben allontana Gioacchino che ha un capretto in braccio.
Giotto aveva come modelli per questi episodi rotoli liturgici, manoscritti miniati, di origine bizantina, trasmessi e rielaborati in Occidente, ma rinnova l'iconografia secondo la nuova sensibilità religiosa degli ordini mendicanti. Così in questo primo episodio, viene messo in evidenza il dramma umano e psicologico di Gioacchino.
L'episodio, considerato dalla critica il primo eseguito, risente della cultura classica di Giotto: il tempio, infatti, riproduce l'interno del sacrario di un'antica basilica paleocristiana, visto certamente dal pittore a Roma.

Affresco 2:

Gioacchino tra i pastori

Gioacchino, umiliato e addolorato, si ritira in montagna tra i pastori che accudiscono le sue greggi e vi rimane cinque mesi senza dare notizie di sé. Solo il cagnolino gli va incontro festoso. La scena è ambientata sullo sfondo di una montagna rocciosa con alberi.
La mortificazione di Gioacchino (cacciato dal tempio per non aver procreato) è espressa dalla testa chinata e l'atteggiamento raccolto, in contrasto con la vivacità del cagnolino. Le figure sono trattate con un forte senso del volume, lasciando tuttavia grande spazio alla natura (alberi, rocce e cielo). Il paesaggio popolato da rocce geometriche di colore quasi argenteo, sembra compenetrarsi con le figure: dietro i pastori la montagna di pietra segue il profilo delle loro teste, poi si innalza dietro la capanna da cui escono le pecore, per sottolineare il loro profilo aguzzo. I personaggi sembrano protagonisti di un mondo severo e intenso, carico di affetti e di drammi vissuti interiormente con profondo equilibrio.

Affresco 3:

Annuncio ad Anna

Anna, moglie di Gioacchino, rimasta a casa riceve dall'angelo l'annuncio della prossima maternità.
Nella scena è rappresentato l'interno della casa di Anna, dove quest'ultima accoglie il messaggio dell'Angelo del Signore. Sulla sinistra, l'ancella (forse Giuditta) fila. Nel timpano del poggiolo, in una conchiglia sorretta da angeli, è raffigurato Isaia, profeta di Maria.
È una delle più poetiche scene del ciclo, che Giotto ha probabilmente desunto dalla versione del Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, che racconta l'episodio dell'annuncio ad Anna della sua prossima maternità. Ma il clima non è sacro, bensì decisamente terreno, trasferito in un interno di stampo borghese, tra umili oggetti e persone semplici.
L'episodio si svolge dentro una costruzione classicheggiante (l'architettura, il timpano e il bassorilievo con i putti si ispirano all'arte romana), però ciò che vi è dentro (l'arredo, la tenda, il letto ben rifatto, il baule) rimanda ai costumi del '300. Ed è proprio questa attenzione all'umanità dei personaggi e alla vita di ogni giorno che fa di Giotto un grande rivoluzionario, il primo a usare il “latino”, o meglio il “volgare” in pittura, dopo secoli di “greco” e di arte bizantina. Gli oggetti sono descritti con la minuzia che è tipica dell'arte fiamminga: si vedano spole e rocchetti, il soffitto a cassettoni, la coperta del letto a righe, la panca, la cassapanca, la scala in legno che porta alla loggia superiore.
Suggerimenti a Giotto sono certamente arrivati anche dal teatro e dalle sacre rappresentazioni del tempo, come racconta quell'angelo che appare ad Anna da una finestra, molto simile a una quinta teatrale.

Affresco 4:

Sacrificio di Gioacchino

Gioacchino, incoraggiato dall'angelo, offre a Dio un capretto come sacrificio propiziatorio. Sull'altare del sacrificio sta bruciando un capretto. In alto, la mano di Dio. Gioacchino è inginocchiato in atto di adorazione mentre compare un angelo con caduceo [ossia una verga simbolo di prosperità e di pace]. Alle spalle di Gioacchino, un pastore guarda verso il fumo del sacrificio.

Affresco 5:

Sogno di Gioacchino

E' quasi notte e Gioacchino riposa addormentato. L'angelo della scena precedente compare in sogno e annuncia a Gioacchino la prossima paternità, incoraggiandolo a tornare a casa. Due pastori assistono alla scena.
L'angelo in volo che annuncia a Gioacchino di ritornare da Anna, perché le sue preghiere sono state esaudite da Dio, tiene in mano uno scettro, sormontato da un trifoglio, simbolo della Trinità. I pastori e il gregge assistono alla prodigiosa visione, che ha il suo centro emotivo nella figura di Gioacchino, immerso nel sonno, accovacciato e chiuso in se stesso in modo da formare una solida figura triangolare. Gli altri protagonisti, spostati al limite del lato sinistro, lasciano un grande, suggestivo, vuoto al centro, popolato da rocce, montagne, animali, disegnati con nitidezza e precisione, come in una pagina miniata.

Affresco 6:

Incontro tra Gioacchino e Anna alla porta Aurea

Gioacchino, accompagnato dai pastori, ritorna verso casa ed alla Porta Aurea riabbraccia Anna, venutagli incontro dopo essere stata avvertita da un angelo. Fanno da sfondo alla scena le mura di Gerusalemme, con muratura ghibellina. Un gruppo di amiche accompagna Anna e Giuditta reca in mano un mantello foderato di vaio, simbolo dell'ex-vedovanza di Anna. Una vedova, ancora racchiusa nel suo mantello bruno, congiunge il gruppo con la scena principale.
Secondo il racconto dello Pseudo Matteo Gioacchino e i suoi pastori camminano per trenta giorni, alla volta di Gerusalemme. Intanto Anna è avvertita da un angelo del ritorno del marito, così si dirige con le sue amiche alla 'porta aurea' e aspetta a lungo, fino a che, alzando gli occhi, vede il consorte con il suo gregge. Gli corre incontro, gli getta le braccia al collo e, ringraziando il Signore, dice: «Ero vedova, ora non lo sono più».


L'incontro alla Porta Aurea è interpretato da Giotto in modo estremamente sintetico: un abbraccio e un bacio tra i due alla presenza di un pastore, munito di cestello, e delle donne del seguito di Anna. Tutto è molto naturale, compreso quel bacio, che nella simbologia classica, mantenuta in epoca medievale, alludeva alla procreazione.
Le donne del seguito di Anna sono ritratte forse da modelli reali, come suggeriscono le complicate acconciature e le differenze sociali testimoniate dagli abiti più o meno ricchi.
L'arcone d'ingresso alla città è forse ispirato dall'arco romano di Rimini e ciò costituisce forse un'indiretta testimonianza dell'attività di Giotto in quella città prima del 1304.
Anche in questa scena la luce ha un ruolo fondamentale, sottolineando protagonisti, architetture, vestiti, tutti giocati su chiare tinte pastello, a eccezione del mantello nero della donna con il volto parzialmente coperto, che, oltre a essere un colore insolito nella gamma di Giotto, allude secondo alcuni alla passata vedovanza di Anna.

STORIE DI MARIA

Affresco 7:

Nascita di Maria

Anna riceve tra le sue braccia la bimba Maria, circondata dalle ancelle che recano sulle spalle fasce per neonati. In primo piano, due ancelle si prendono cura di Maria dopo il bagno: una le stringe delicatamente il naso perché cresca gentile, come era uso in molte regioni italiane fino al secolo scorso.
Le sei storie che riguardano l'infanzia e lo sposalizio di Maria si svolgono sulla parete opposta a quella delle storie di Gioacchino e Anna; Giotto ha voluto creare in questo modo tutta una serie di corrispondenze concettuali e materiali tra le due serie di storie.
Per esempio Gioacchino e Giuseppe sono presentati come “esempi di virtù” legati alla castità, la quale era celebrata come virtù dai Frati Gaudenti (la Confraternita a cui apparteneva Enrico Scrovegni) anche per gli uomini sposati.
Oppure la scena della nascita di Maria è raffigurata all'interno della stessa architettura dell'Annuncio ad Anna, con la stessa coperta a righe che si vede anche in quel riquadro.
Nel piccolo vano a sinistra una donna porge a un'altra dei panni. Nella stanza più grande sant'Anna, distesa nel suo letto, tende le braccia verso la neonata. In primo piano le ancelle lavano la piccola Maria. Due belle donne accanto al letto si danno da fare, una con la neonata avvolta in fasce, l'altra con tazze di cibo per sant'Anna. In questa scena Giotto ha ripreso uno spaccato di vita domestica trecentesca e lo ha trasformato in tema sacro. 
Per sottolineare la profondità della stanza Giotto ha disegnato prospetticamente il rettangolo formato dai bastoni che sorreggono le tende, anticipando soluzioni rinascimentali.


È stato ipotizzato che nella nobile dama, dal vestito azzurro con bordure dorate, si celasse la consorte di Enrico Scrovegni.

Affresco 8:

Presentazione di Maria al Tempio

Maria a tre anni, viene condotta al tempio e affidata ai sacerdoti. La scena si svolge all'ingresso del Tempio di Gerusalemme, dove Gioacchino è vicino al vecchio Simeone (112 anni) e alla profetessa Anna. Il sommo sacerdote Abiatar accoglie Maria, sorretta da Anna, mentre in primo piano altri due sommi sacerdoti commentano la scena.
Giunta al quinto anno di età Maria, accompagnata al tempio dai genitori, secondo la consuetudine ebraica, è accolta dal sacerdote. Il tempio è molto simile a quello da cui Gioacchino viene allontanato nell'omonima scena, ma presentato in una diversa prospettiva. I personaggi, scelti con estrema cura, sono il sacerdote che accoglie Maria tra le fanciulle che già si trovano al tempio, altri due sacerdoti in basso a destra, un giovane che porta una cesta, Gioacchino, Anna avvolta in un ampio mantello rosso e la piccola Maria. La scena si svolge, come quasi tutte le altre del ciclo, intorno a un fulcro principale, architettonico o paesistico; rispetto all'altro grande ciclo di affreschi di Giotto (quello di Assisi) qui il pittore ha semplificato le composizioni, ma le ha rese così anche più efficaci, riuscendo a trovare un rapporto calibrato ed incisivo tra le figure.

Affresco 9:

Consegna delle verghe

Maria vuole consacrarsi al Signore e pertanto bisogna scegliere l'uomo cui affidarla.
Il Sommo Sacerdote Abiatar convoca gli uomini celibi della tribù di Giuda e si fa consegnare da ognuno di loro un ramoscello: Maria verrà affidata a quello dal cui ramoscello fiorito volerà una colomba. Giuseppe, con l'aureola, è fra i giovani. Il sommo sacerdote Abiatar riceve i ramoscelli alla presenza dello scriba Ruben.

Affresco 10:

Preghiera per la fioritura delle verghe

All'interno del Sancta Sanctorum i ramoscelli, portati dai giovani della Tribù di Giuda e da Giuseppe, vengono posti sull'altare fra due incensieri e il sommo sacerdote Abiatar prega perché si verifichi l'evento straordinario. Fra i giovani, anch'essi raccolti in preghiera, Giuseppe (a sinistra, con l'aureola).

Affresco 11:

Le nozze di Maria e Giuseppe

Maria è promessa sposa all'anziano Giuseppe. La solenne cerimonia degli sponsali o consacrazione, secondo il rito ebraico, avviene alla presenza di Abiatar. Giuseppe reca nella sinistra il ramoscello divenuto giglio, da cui sta per spiccare il volo una colomba bianca, e offre a Maria un anello. Maria porta i capelli sciolti (come le donne nubili) e ornati da un diadema. Sulla sinistra, un giovane della Tribù di Giuda spezza un ramoscello con il ginocchio in segno d'ira.
La cerimonia delle nozze tra Maria e Giuseppe si svolge in un tempio raffigurato identico a quelli di episodi precedenti.
Con la mano appoggiata sul ventre Maria sembra alludere alla maternità, già nel momento in cui Giuseppe sta per infilarle l'anello al dito. Il gesto è ripetuto anche da una delle donne sulla destra e da una, evidentemente incinta, sulla sinistra.
Si è supposto che le tre donne in faccia a Maria possano essere nobildonne dell'entourage degli Scrovegni. I sobri ma eleganti vestiti, certamente di moda nell'ambiente aristocratico padovano, nascondono nei loro colori significati precisi. Metalliche come sculture le pieghe di manti sfavillano di luce fluorescente, ricca di sfumature. Vivace la gestualità dei personaggi, concentrata nei giochi delle mani sottili e forte l'espressività dei volti, che indicano una gamma variegata di sentimenti ed emozioni.

Affresco 12:

Corteo nuziale di Maria

Accompagnata da due dignitari del tempio e da sette ancelle, Maria ritorna a Nazareth nella casa paterna. Maria ha l'abito degli sponsali. Accompagnano il ritorno tre suonatori con il capo coronato di alloro.

Affresco 13:

Dio Padre circondato dagli angeli

Due schiere di angeli, alcuni musicanti, che rappresentano l'eternità, circondano il trono dell'Altissimo. L'angelo Gabriele, sulla destra, attende l'ordine di annunciare a Maria la sua imminente maternità in piedi. A sinistra, invece, inginocchiato, Gabriele riceve dalla mano di Dio la missione di scendere a Nazareth.
La scena dell'Annunciazione, che si configura come cerniera dal punto di vista visivo e concettuale con le Storie di Cristo, occupa la lunetta dell'arcone trionfale. L'Eterno in trono è dipinto su una tavola inserita nel muro.

Affresco 14:

Missione dell'annuncio a Maria: Angelo annunciante e Vergine annunciata

All'interno della casa di Nazareth, l'arcangelo Gabriele annuncia a Maria il mistero dell'Incarnazione. Nella mano destra reca il messaggio, alla maniera latina.
Maria, colpita dal verbo divino, accanto al leggio, stringe in mano un libro d'argento, come nel dramma sacro "Mysterium Mariae et Angeli" che veniva rappresentato a Padova il 25 marzo. La scena dell'Annunciazione era una delle rappresentazioni più classiche e più amate. Giotto ne fissa per sempre la memoria, in un'immagine che avrà una grande fortuna in tutta la pittura successiva. La scena è in una posizione privilegiata per tutti coloro che entravano nella Cappella dalla porta d'ingresso.
L'angelo annunciante e l'annunciata sono dipinti ai lati estremi dell'arcone, inginocchiati uno di fronte all'altra, entro vani architettonici simili, articolati con loggette, piccole finestre e soffitti a cassettoni, che raffigurano la stanza, semplice e sobria, in cui si svolge l'avvenimento.
Il particolare risalto che Giotto dà a questa scena nasce dalla devozione al culto dell'Annunziata, cui era dedicato un antico oratorio, che sorgeva nell'area acquistata da Enrico Scrovegni per costruire la cappella, di fronte al quale il 25 marzo di ogni anno si svolgeva una processione e una sacra rappresentazione in onore della Madonna.

STORIE DI CRISTO

Affresco 15:

Visitazione di Maria ad Elisabetta

Maria, accompagnata da due delle sette ancelle, rende visita ad Elisabetta, sua parente, moglie di Zaccaria e prossima madre di Giovanni il Battista. Maria reca in dono una fascia per neonati, di augurio per la prossima maternità

Affresco 16:

Natività di Gesù

Maria depone Gesù in una mangiatoia, aiutata da un personaggio femminile, mentre Giuseppe riposa. In cielo, cinque angeli rendono grazie a Dio, di cui uno rivolge l'annuncio a due pastori, raffigurati di spalle, avvolti nei mantelli. Giotto risolve il problema dell'ubicazione della nascita di Gesù, sollevato dai Vangeli apocrifi, ponendo la stalla entro una grotta di montagna.
L'avvenimento che rievoca la nascita di Gesù è proiettato in primo piano, dentro una capanna ben inserita nello spazio. È una delle scene più originali del ciclo per il taglio che Giotto ha dato al riquadro, con l'asino che spunta a sinistra, le pecore e Giuseppe accovacciati, i pastori che dialogano con l'angelo. Si tratta di un brano di alta poesia, che interpreta con umanità e tensione affettiva il racconto sacro: si veda, in particolare, la sagoma della Madonna tesa verso il Bambino. Bella è anche l'espressione incantata e sognante di Giuseppe; vivacissimi sono gli angeli che ruotano e volano nel cielo. Chiaro e luminoso, studiato in rapporto all'architettura della cappella, è il colore, con sottili passaggi e accostamenti di tonalità.

Affresco 17:

Adorazione dei Magi

Giotto colloca l' Adorazione dei Magi prima della presentazione al Tempio, invertendo l'ordine usato dal Vangelo dello Pseudo Matteo. La Cometa non è quella di Halley, come erroneamente a lungo sostenuto, ma più verosimilmente una cometa descritta dal celebre astronomo e matematico padovano Pietro d’Abano. Due inservienti trattengono due cavalcature o dromedari . I tre re Magi offrono doni: Melchiorre, inginocchiato, l’oro; Baldassarre reca, con una cornucopia, la mirra e Gaspare l’incenso. Due angeli e la sacra famiglia completano la scena.
Il bambino Gesù aveva dodici giorni quando si mostrò al mondo pagano, cioè ai Magi, che arrivarono con molta gente sino alla grotta di Betlemme. I Magi parlano con la Madonna e credono a tutto ciò che ella dice, quindi aprono gli scrigni e offrono i loro doni; alla fine, con reverente devozione, baciano i piedi al Bambino.
Così, in sintesi, il racconto sacro, che Giotto rappresenta con vivacità e senso del movimento, attraverso particolari che dovevano incuriosire e divertire lo spettatore: i due cammelli a sinistra, per esempio, la capanna formata da una struttura lignea “moderna”, i vestiti dai colori pastello, profilati d'oro, che, nell'angelo a destra, seguono la moda di primo Trecento con le maniche strette al polso e larghe al gomito.

Affresco 18:

Presentazione di Gesù al tempio

E' una scena molto importante perché ha consentito di individuare la fonte letteraria di Giotto in questo ciclo: sotto la volta del Sancta Sanctorum, il vecchio Simeone (112 anni) riceve da Maria il bimbo, con le mani coperte da un drappo ( come si usava fare quando si riceveva un dono dall'imperatore). Alla sua destra, la profetessa Anna reca un cartiglio con la scritta "quoniam in isto erit redemptio mundi" , unica negli apocrifi e citata dal vangelo dello Pseudo Matteo. Giuseppe reca in dono due giovani colombe.

Affresco 19:

Fuga in Egitto

Giuseppe, Maria e Gesù bambino fuggono in Egitto per sottrarsi alle persecuzioni del re Erode, dopo esser stati avvertiti in sogno da un angelo. Quest'ultimo indica la strada al gruppo che vede anche una ragazza, con il capo coronato di edera, vicino a Giuseppe e tre giovani sulla stessa strada della carovana.
La scena della fuga in Egitto, una delle più famose del ciclo padovano, è tutta racchiusa entro la piramide formata dalla roccia al centro del paesaggio. È uno scenario allarmante, fatto di grandi e aride montagne, popolate da qualche albero; uno scenario che crea angoscia ai due genitori costretti a peregrinare in terre lontane e sconosciute, per strade difficili, con un bambino di appena due mesi. A confortare la madre e il padre sono i quattro giovani accompagnatori e quel bellissimo angelo, lo stesso che aveva consigliato Giuseppe in sogno di fuggire per evitare la strage di Erode.
La pittura, magistralmente costruita, quasi scolpita con blocchi di colore dai contorni taglienti, in una atmosfera lunare e metafisica, è curata nei dettagli. Fini come miniature sono, per esempio, gli alberi descritti in ogni foglia, le decorazioni dell'abito del Bambino legato a Maria da una sciarpa, i calzari, gli oggetti comuni, come la cesta di paglia di Giuseppe e la borraccia del ragazzo, piccoli brani di natura morta.

Affresco 20:

Strage degli innocenti

Erode impartisce ordini dall'alto di una loggia, mentre sullo sfondo è raffigurata l'antichissima Basilica della Natività a Betlemme. In primo piano si staglia il gruppo delle madri che piangono i loro figli, molti dei quali giacciono, senza vita, al centro della scena. I gesti dei soldati che infieriscono con crudeltà, aumentano la drammaticità della scena.
Sullo sfondo di due architetture gotiche (una delle quali, a forma ottagonale, ricorda il battistero di Firenze) si svolge l'episodio cruento della strage degli innocenti. I due gruppi, da un lato le donne urlanti di dolore, dall'altro alcuni uomini presenti e sconvolti dall'orrore, sono raccordati dai due tetri carnefici, trattati a tinte livide e cupe. L'unità della scena è creata dall'intera parata di personaggi, che riunisce a sua volta le due architetture, poste su piani diversi per evidenziare, con una leggera prospettiva, la loggia da cui domina Erode. L'uso dinamico dello spazio è percepibile nel mucchio dei corpi dei bambini, che sembrano franare oltre la cornice del riquadro.
La scena della strage degli innocenti è una delle più crude e drammatiche del ciclo padovano, anche se alcuni studiosi hanno rilevato alcuni difetti, che fanno pensare che il riquadro sia stato in parte dipinto da un collaboratore di Giotto. In effetti in tutto il ciclo ci sono stati molti interventi di “aiuti”, che hanno lavorato sul disegno di Giotto.
Qui si possono notare due curiosità:
1- la sproporzione dei corpi dei bambini rispetto agli adulti, fatta con lo scopo di evidenziarli e di farne i protagonisti:
2- le righe scure tracciate sui volti di alcune donne a indicare le lacrime che scorrono sulle loro guance.


Affresco 21:

Gesù tra i dottori nel tempio

Gesù fanciullo siede, in prossimità della Pasqua ebraica, nel tempio di Gerusalemme fra dieci dottori della Legge. Assistono alla scena Giuseppe e Maria, in piedi con le aureole, che lo trovano dopo una lunga ricerca.

Affresco 22:

Battesimo di Cristo

Cristo, immerso nelle acque del fiume Giordano, riceve il battesimo dalle mani di Giovanni Battista. Quest'ultimo è accompagnato da due discepoli, mentre, sul lato opposto, quattro angeli assistono alla scena e recano la tunica e il mantello di Gesù. L'Eterno Padre appare in alto con il libro degli insegnamenti divini ed una colomba, oggi quasi interamente scomparsa.

Affresco 23:

Nozze di Cana

Secondo un'antica tradizione, il personaggio seduto alla sinistra di Cristo (lo sposo) sarebbe il futuro evangelista Giovanni che, lasciata la moglie nel giorno delle nozze, avrebbe seguito come apostolo Gesù. Il personaggio con l'aureola, invece, è Andrea apostolo. Al centro, il gruppo delle donne con al centro la sposa e Maria, che chiede al figlio di trasformare l'acqua delle sei giare in vino.
In una elegante camera con le pareti a stoffe rigate e un ballatoio di legno traforato si sta svolgendo il pranzo per festeggiare i due sposi. Il vino viene a mancare e Gesù compie il miracolo, trasformando l'acqua in vino. L'attenzione dello spettatore è subito catturata dal grasso maestro di mensa e dal gruppetto di servitori che stanno versando il liquido nelle vistose brocche. Uno spaccato boccaccesco, con un pingue oste, forse addirittura un ritratto, ripreso di sana pianta dalle taverne del tempo. La Madonna, in posizione di spicco, sembra dettare le regole del gioco, mentre Gesù è seduto dalla parte opposta, mescolato tra gli ospiti.
Tutto il riquadro evidenzia una dimensione spaziale assolutamente nuova per l'epoca: la saldezza dei volumi, sottolineati da chiari colori pastello, raggiunge il suo apice nelle figure femminili in primo piano e nelle bellissime giare di stampo classico. Su immagini come questa si formerà tutta la tradizione italiana, da Piero della Francesca alla metafisica del XX secolo. Grande attenzione è rivolta agli oggetti, dalla candida tovaglia alle stoviglie, ai piccoli pani tondi, sino agli abiti eleganti e alla moda dei due sposi.


Affresco 24:

Resurrezione di Lazzaro

Cristo, circondato dagli apostoli compie il miracolo della resurrezione di Lazzaro, dopo che Marta e Maria, sorelle del defunto, lo avevano implorato. Lazzaro, avvolto in bende, è sostenuto da due apostoli. In primo piano due garzoni spostano la pietra tombale.
Il miracolo della resurrezione di Lazzaro è accolto con stupore dai discepoli e con commozione dalle sorelle di Lazzaro, inginocchiate ai piedi di Cristo. Il cadavere, con labbra e palpebre semichiuse, emana l'odore della morte, come sottolineano i due discepoli che si coprono il naso col mantello.
La drammaticità dell'episodio è sintetizzata dal personaggio al centro col braccio destro alzato. Il paesaggio montuoso appare come una prosecuzione della piccola folla che attornia Lazzaro, catturando l'attenzione dello spettatore. Intensi gli sguardi e bellissimi i colori, dalle tonalità chiare, intrise di luce.

Affresco 25:

Ingresso a Gerusalemme

La scena, bipartita, mostra Gesù che entra a Gerusalemme seguito dagli apostoli, accolto da una folla festante che stende a terra mantelli, mentre due ragazzi raccolgono rami di ulivo. L'architettura raffigura, con probabilità, la "cittadella di David" con le torri che si salvarono dalla distruzione della città.

Affresco 26:

Cacciata dei mercanti dal tempio

Gesù, accompagnato dai suoi apostoli, caccia i profanatori dal tempio, impugnando delle corde come flagelli. Sulla destra i sommi sacerdoti Caifa e Anna commentano la scena.

Affresco 27:

Tradimento di Giuda

Giuda Iscariota tradisce Gesù e lo vende per trenta denari ai sacerdoti ed agli scribi del tempio, che cercavano di liberarsene perché temevano il popolo in concomitanza della Festa degli Azzimi. Satana è dietro le spalle di Giuda, che ha l'aureola nera. Ha inizio da questa scena il racconto della Passione e della morte di Cristo.

Affresco 28:

Ultima cena

È uno dei temi iconografici più famosi e più rappresentati. Giotto coglie il momento degli sguardi interrogativi degli apostoli dopo che Gesù, durante la celebrazione della Pasqua, ha annunciato che uno di loro lo tradirà. Giuda siede di spalle con il mantello giallo e l'aureola nera, diversa dalle altre, anneritesi posteriormente per cause chimiche.
Per l'episodio dell'ultima cena Giotto ha preferito, secondo la tradizione bizantina, il momento dell'annuncio del tradimento, piuttosto che quello in cui Cristo spezza il pane, che venne introdotto dalla tradizione romana. Qui, infatti, Gesù annuncia che uno dei suoi apostoli lo tradirà, e Giovanni “reclinandosi sul petto di Gesù gli disse: «Signore chi è?». Allora Gesù rispose: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò»”. Giuda, seduto in un angolo a sinistra, sta per ricevere il segnale di riconoscimento, mentre gli altri apostoli sono seduti intorno alla tavola imbandita, secondo una lieve prospettiva diagonale segnata dalla panca e ripresa dal soffitto.

Affresco 29:

Lavanda dei piedi

Nella stessa architettura dove si svolge l'Ultima cena, Gesù lava i piedi agli apostoli, in un gesto in cui il Figlio di Dio si inginocchia davanti all'uomo. La scena è sovrastata dall'Adorazione dei Magi ( dove gli uomini si inchinano davanti al Figlio di Dio) e, ancora più in alto, dalla preghiera di Anna, in un gioco di rispondenze e parallelismi rilevato da più di uno studioso.

Affresco 30:

La cattura (Bacio di Giuda)

Al centro di una folla di soldati, accorsi con lance e torce, si compie il tradimento e Giuda bacia Gesù. A destra Caifa indica il Cristo, mentre, a sinistra, Simon Pietro taglia l'orecchio a Malco, servo del sommo sacerdote.

Affresco 31:

Cristo davanti a Caifa

Gesù viene arrestato e portato davanti al sommo sacerdote Caifa, che, in questa scena, siede vicino ad Anna. Caifa interroga Gesù e, udite le risposte, si straccia le vesti in segno di dolore per le affermazioni di Gesù ritenute sacrileghe: un gesto analogo alla raffigurazione dell'Ira nello zoccolo con i Vizi. Intanto un soldato, presente alla scena, alza il braccio per dare uno schiaffo a Gesù.

Affresco 32:

Flagellazione (Cristo deriso)

A sinistra Gesù viene schernito, flagellato e deriso come re dei Giudei, mentre sulla destra sta il gruppo con Ponzio Pilato, che non ha voluto esprimere un giudizio, rimettendo la decisione nelle mani delle autorità locali.

Affresco 33:

Salita al Calvario

Gesù porta la croce uscendo dalla porta di Gerusalemme. Sullo sfondo, un gruppo di soldati con lance, picche ed alabarde. La madre di Gesù segue il corteo, anche se si cerca di allontanarla. Nella scena ci sono altri soldati e sacerdoti del Tempio: un soldato dietro al Cristo lo spinge con un bastone; un altro impugna il martello per la crocifissione. Due contadini si imbattono nel corteo: uno di loro è il Cireneo che porterà, scalzo, la croce per un tratto. Si può notare Cristo esca con la croce in spalla dalla stessa porta di Gerusalemme, merlata e turrita, attraverso la quale era festosamente entrato.

Affresco 34:

Crocifissione

Cristo inchiodato sulla croce (Crocifissione), con inginocchiata ai piedi Maria Maddalena, a sinistra la Madonna sostenuta da Giovanni l'Evangelista e da Maria Cleofe e, sulla destra, il centurione romano convertito ( e pertanto con l'aureola) tra i soldati che si disputano le vesti del crocifisso. In cielo, dieci angeli rappresentano forse la partecipazione cosmica al dolore. Sul cartiglio del Crocifisso la scritta "HIC. E. IESUS /NAZARENUS/ REX IUDEORUM" che non trova riscontro nei Vangeli né canonici né apocrifi, ma che ha un precedente in Cimabue.

Affresco 35:

Compianto sul Cristo morto

È una delle scene più espressive dell'intero ciclo, grazie ad una capacità ineguagliabile di rappresentare lo spazio, le figure e i gesti attorno al corpo senza vita di Cristo. Le braccia aperte di Giovanni apostolo, al centro della rappresentazione, come pure lo sguardo intenso di Maria, la diagonale della montagna rocciosa, la disperazione dei dieci angeli che riproducono tutte le manifestazioni della disperazione umana, esprimono un dramma che diventa universale.
La scena del Compianto occupa, quasi al centro della parete sinistra, il terzo riquadro, una collocazione di grande visibilità, che doveva creare un vero e proprio choc sul pubblico. I due volti accostati di Cristo e della madre, l'uno irrigidito dalla morte e l'altro dal dolore, raggiungono un pathos di forte emotività. Le pie donne fanno eco e tutti i presenti esprimono il proprio dolore in modi diversi, come in una sacra rappresentazione.
Il dialogo silenzioso tra la morte e la vita è sottolineato dal paesaggio cupo, un'arida roccia con un secco alberello. Nel cielo blu una folla di angeli in volo si catapulta acrobaticamente – proprio come succedeva, con vari marchingegni, nel teatro del tempo – esprimendo un dolore molto umano, ciascuno diverso dall'altro, piangendo, strappandosi i capelli, coprendosi il volto. Le figure dei dolenti circondano il corpo del Cristo, disteso tra le donne come in un letto funebre, mentre la Maddalena con i suoi lunghi capelli sciolti, seduta a terra, sostiene con affetto i piedi di Gesù.


Affresco 36:

Resurrezione (noli me tangere)

Due angeli sono seduti sul sepolcro di marmo, mentre alcuni soldati dormono profondamente. Il Cristo risorto compare a Maria Maddalena, giunta al sepolcro per piangere, e la invita a non seguirlo e a non toccarlo. Sul vessillo, le parole "victor mortis". Questa scena ebbe da subito una grande fortuna iconografica e venne riprodotta pochi anni dopo negli Antifonari della cattedrale di Padova. In questo riquadro Giotto usa la tecnica dello stucco romano, recuperata dopo anni di oblio, per rendere la lucentezza del marmo.

Affresco 37:

Ascensione

Sulla sommità del monte degli Ulivi, Cristo, racchiuso nella mandorla, ascende al cielo fra due schiere di angeli, beati e santi dell'Antico Testamento. Lo guardano dal basso gli apostoli e la madre, davanti ai quali compaiono due angeli.

Affresco 38:

Pentecoste

Sugli apostoli riuniti scende la luce dello Spirito Santo e gli apostoli cominciano a parlare in altre lingue. È l'inizio della loro missione: andare per il mondo a predicare e diffondere il vangelo.

IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Affresco 39:

Giudizio Universale (insieme)

La vasta composizione (75 mq e 100 giornate di lavoro) si stende sull'intera controfacciata e costituisce il punto d'arrivo della simbologia morale, del cammino di salvazione rappresentato nella Cappella.
Il Cristo Giudice, al centro della composizione, rende giustizia ai buoni e condanna i cattivi, con gesto pacato e sicuro. La divisione tra bene e male è anche separazione tra ordine e caos: gli eletti, seguendo le indicazioni degli angeli, si dispongono in schiere regolari, mentre tra i demoni e i dannati regna la massima confusione.
Nonostante segua nell'impianto l'iconografia tradizionale bizantina, il Giudizio Universale presenta molte innovazioni. I vari episodi che, sino ad allora, erano rappresentati in modo frammentario e disposti in fasce parallele, vengono riuniti in un unico grande scenario.
Al centro spicca la figura di Cristo giudice, con, ai lati, gli apostoli.


In alto sono dipinte nove schiere angeliche a zone sovrapposte.


In basso, divise da una slanciata croce sorretta da angeli, le schiere dei santi e degli eletti (a sinistra) e quelle dei dannati e dei demoni (a destra).


                     Un gruppo di beati

                          Altri beati

Secondo un'antica tradizione, tra i beati Giotto avrebbe raffigurato se stesso, con accanto Dante e Giovanni Pisano (Giotto sarebbe quello che ho cerchiato in rosso).


La leggenda è del tutto priva di fondamento scientifico; da un punto di vista tecnico, anzi, si direbbe persino impossibile che il pittore abbia potuto, con il solo ausilio degli specchi in uso all'epoca, autoritrarsi di profilo. Tuttavia, la recente individuazione delle spoglie di Giotto in una tomba di Firenze ha riaperto nuove prospettive, consentendo di evidenziare una sorprendente somiglianza tra la costruzione virtuale del volto dell'artista e il personaggio dipinto.

Lucifero giganteggia tra i dannati.


Tra i dannati vi è Giuda (quello cerchiato in rosso), che si è impiccato per il rimorso di aver tradito Gesù.


    Alcuni dannati

                     Altri dannati

           Altri dannati

Nella parte inferiore, quasi al centro, Enrico Scrovegni, in ginocchio sulla sinistra, consegna alla Vergine, accompagnata da san Giovanni Evangelista e santa Caterina d'Alessandria, la cappella sostenuta da un personaggio, forse identificabile in Altegrado de' Cattanei, canonico e arciprete della cattedrale di Padova, amico del committente. L'offerta rappresenta il definitivo risarcimento per il peccato d'usura del padre. La struttura architettonica del sacello donato alla Vergine appare diversa dall'attuale, semplificata, priva del transetto gotico visibile a destra dell'abside.


Nell'arco trionfale Giotto ha dipinto anche i due coretti, in cui, con grande senso della prospettiva, immagina la continuazione della chiesa in quel transetto che lui aveva ideato, ma che non è stato costruito.


Tra un riquadro e l'altro ci sono delle fasce con figure geometriche, busti di santi e immagini varie: alcune sono episodi dell'Antico Testamento, che si ricollegano agli episodi del Nuovo Testamento che Giotto ha dipinto.







Nello zoccolo delle pareti sono raffigurati Vizi e Virtù:

Prudenza e Stoltezza

Fortezza  e Incostanza

Temperanza e Ira

Giustizia e Ingiustizia

Fede e Infedeltà

Carità e Invidia

Speranza e Disperazione

BREVE BIOGRAFIA E OPERE DI GIOTTO

Non abbiamo molte notizie certe della vita di Giotto, per cui la sua biografia mescola notizie vere ad altre non verificabili; sulle date gli specialisti non sono sempre d'accordo. Sulle opere di Giotto gli studiosi sono in disaccordo: alcuni le attribuiscono a lui, altri a suoi allievi.
1267 (o 1266):
L'anno di nascita di Giotto si ricava dalla notizia certa della sua morte, avvenuta nel 1337 (o 1336 secondo il calendario fiorentino) all'età di settanta anni. Il luogo indicato dalla tradizione è Colle di Vespignano presso Vicchio di Mugello, ma non è escluso che questo sia solo il luogo di origine della famiglia e che il pittore sia nato a Firenze, dato che un cittadino fiorentino di nome Bondone, identificato da alcuni storici come il padre del pittore, partecipò alla battaglia di Montaperti nel 1260.
Secondo il Vasari Giotto era sicuramente figlio di Bondone da Angiolino “lavoratore di terra”. Il nome Giotto è forse un'abbreviazione di Angiolotto, Ambrogiotto e simili, comunque è un nome allora in uso.

1277 circa:
Lorenzo Ghiberti ci ha lasciato il racconto affascinante, ma probabilmente non vero, di un Giotto giovanissimo pastore “scoperto” da Cimabue mentre disegna pecore [immagine nota, se non altro, perché riprodotta da decenni sulle confezioni delle MATITE GIOTTO]. È più certa l'iscrizione del ragazzo nell'Arte della lana di Firenze, dopo il trasferimento della famiglia a Firenze [ma forse, il trasferimento era avvenuto ancor prima della nascita del ragazzo]. Attorno ai 10 anni Giotto forse comincia a frequentare la bottega fiorentina di Cimabue, uno dei più quotati pittori dell'epoca nella città toscana.

1285-1288:
Ipotetico, ma probabile, rimane un primo soggiorno di Giotto a Roma in questi anni, al seguito di Cimabue o magari di Arnolfo da Cambio.

1290 circa:
Sembra che in quest'anno Giotto sposi Ciuta [Ricevuta] di Lapo del Pela di Firenze, da cui nascono quattro maschi e quattro femmine.
Non è altrimenti ancora del tutto sicura l'attribuzione a Giotto della decorazione di parte della navata della Basilica superiore di Assisi; nemmeno sulle celebri Storie di san Francesco la critica è tutta concorde nell'attribuirle a Giotto. Il pittore è ad Assisi molto probabilmente nel 1297.
1300 circa:
Negli anni successivi all'impresa assisiate Giotto lavora a Firenze e, ancor prima della fine del secolo (o nel 1301, secondo altri), soggiorna a Rimini e, forse in occasione del Giubileo del 1300, a Roma.
A Rimini dipinge (forse) la Croce dipinta che vedi a destra.

1302:
Giotto giunge a Padova, invitato dai francescani della Basilica del Santo per ornare la Sala del Capitolo.

1303-1305:
Esegue gli affreschi della Cappella Scrovegni a Padova, unica sua opera databile con certezza. La cappella viene inaugurata il 25 maggio 1305, giorno dell'Annunciazione. Lavora inoltre al Palazzo della Ragione, dove dipinge la volta con un meraviglioso ciclo astrologico, che un incendio del 1420 ha distrutto.

1305:
Dopo Padova, Giotto torna a Firenze, dove dà in affitto a un certo Bartolomeo una sua casa nel quartiere di San Pancrazio.

1309:
Un documento riferisce di un soggiorno recente del pittore ad Assisi, dove forse affresca la cappella della Maddalena nella Basilica inferiore di san Francesco.

1310-1311:
Lavora a numerose tele, tra cui la Maestà, collocata in origine nella chiesa fiorentina di Ognissanti ed ora al museo degli Uffizi (la puoi vedere a lato).

1312:
In un testamento di quest'anno Giotto è menzionato come autore di un crocifisso per la chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Nello stesso anno il pittore dà un telaio in affitto (a prezzo elevato).
1313:
Un documento attesta che il pittore era tornato da poco da Roma. In questi anni Giotto ha ormai raggiunto la fama e il successo, anche economico. È citato in vari scritti (compreso Dante) e investe parte dei guadagni in terreni e in telai che dà in affitto.

1314:
Giotto si trova a Firenze, dove nomina dei procuratori e compie un'azione legale in quanto garante di un prestito. Inoltre litiga con il notaio Grimaldo del fu Compagno da Pesciolo, per alcune terre a Colle di Vespignano.

1318:
Dona alla figlia Bice, tramite il figlio Francesco, un podere presso Colle di Vespignano, luogo di origine della famiglia. Altre terre nella stessa località saranno acquistate nel 1322.

1320:
Risulta iscritto, come altri pittori fiorentini, all'Arte dei medici e degli speziali. La sua attivissima bottega è responsabile di numerosi dipinti su tavola e della decorazione di due cappelle nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

1326:
Documenti relativi al matrimonio della figlia Chiara, attestano la presenza del maestro a Firenze.
1328 circa:
Dipinge nella chiesa di Santa Croce a Firenze diverse opere, tra cui il Polittico Baroncelli (che vedi qui sotto).

1328-1332:
È documentato alla corte di Roberto d'Angiò a Napoli, dove restano poche opere riconducibili alla sua bottega. Il 20 gennaio 1330 Roberto d'Angiò lo nomina suo “famigliare” e nel 1332 gli assegna uno stipendio annuo per i suoi servizi, il mantenimento del cantiere e dei numerosi garzoni. In questo modo Giotto diventa “pittore di corte”, prima che la cosa diventasse di moda nelle corti rinascimentali.
1333:
Richiamato in patria dopo una disastrosa alluvione, viene nominato capomastro dell'Opera di Santa Reparata.

1334:
Il 18 luglio dà inizio al campanile del duomo di Firenze da lui disegnato e che da lui prenderà il nome, anche se il campanile non verrà compiuto secondo i suoi progetti.

1335-1336:
Viene invitato a Milano, dove dipinge per Azzone Visconti un affresco, oggi perduto.

1337:
Tornato in patria, muore settantenne l'8 gennaio. Viene sepolto in Santa Reparata con grandi onori, a spese del Comune “il qual privilegio si tenne per singolarissimo” (nota il Villani).

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